Lo scoglio d’Isca (detto anche Galluzzo, nel territorio di Massa Lubrense), una volta appartenente ad Eduardo De Filippo, e poi a suo figlio Luca, ancora oggi di proprietà privata, è un piccolo isolotto posto al largo della costa del versante meridionale della penisola sorrentina, tra Recommone ed il fiordo di Crapolla. Come quelli ed esso prossimi de Li Galli e di Vetara, rappresenta la parte emersa di strutture geologiche appartenenti al complesso dei Monti Lattari-Isola di Capri. Ricade nella zona B della riserva dell’Area Marina Protetta di Punta Campanella e quindi vi è vietato l’ancoraggio, mentre è consentita l’immersione esclusivamente dalla barca. Sull’estremità meridionale si trova una grotta sottomarina, grotta dell’Isca, che ha un’apertura a circa meno 5 m dal livello del mare ed una camera con volta a circa 17 m di altezza, ricca di stalattiti. Questa potrebbe essere identificata con il sito segnalato dall’archeologo A. M. Radmilli (1965) nel quale, durante le ricognizioni degli anni ‘60 del 1900, identificò un lembo di deposito sedimentario contenente industria litica musteriana (Paleolitico medio), materiali che risultano al momento dispersi per cui resta difficile attualmente suffragare tale notizia.
Sull’isolotto si trova una villa marittima abbastanza ben conservata (Mingazzini, Pfister 1946), che sembra essere stata estesa su quasi tutto l’isolotto. Purtroppo è diventata il basamento della villa moderna all’inizio del XX secolo, che è stata varie volte ristrutturata. Oltre ai resti della domus, sono presenti due belvederi e due approdi che ancora oggi formano i soli punti di approdo. Uno dei due conduceva con una rampa direttamente alla domus; ne rimangono tracce di cocciopesto e alcuni blocchi in tufo pertinenti alla banchina. Gradini tagliati nella roccia e la suddetta rampa, che è sostenuta da muretti in reticolato di tufo, segnano l’antico tracciato della salita, che in tre tratti conduce alla parte alta spianata dell’isolotto. Prima di giungere alla domus, la salita passa lungo il muro esterno di una grande cisterna con volta a botte (che conserva parte del rivestimento di cocciopesto), che sorreggeva un vano abitabile della struttura padronale.
Lasciando a destra questa cisterna, si raggiunge una terza terrazza, riconoscibile solo dai tagli di roccia della spianata, con una posizione a picco sul mare ed in prossimità di uno dei due approdi. Con molta probabilità esisteva un’altra terrazza, ottenuta spianando la roccia in quel punto o come suppongono Mingazzini e Pfister un vano, i cui muri sono però completamente scomparsi. Le numerose schegge di marmo bianco di cui è disseminata l’area costituiscono l’unico avanzo della decorazione di questa domus. Verso sudovest, un muro a picco sul mare è tutto quello che rimane di un parapetto che girava tutt’intorno ad un’insenatura sulla quale si apre la suddetta ampia grotta marina. Dalla banchina doveva partire una comunicazione di un paio di gradini, forse in legno, che permetteva di giungere allo stretto corridoio che con leggerissimo pendio conduce ad una grotta (la cosiddetta Grotta Piccola). Questa cavità naturale (l’altezza massima è di appena tre metri) è stata trasformata in ninfeo. Dalla stessa banchina, una rampa, alternata ogni tanto con dei gradini (ne rimangono oggi solo cinque) conduceva alla Grotta Grande che era stata sistemata con un pavimento in cocciopesto ed un muretto semicircolare in spezzoni di tufo in funzione di sedile. L’accesso alle grotte/ninfei è difficile a causa di vari cedimenti verificatisi nel tempo.
Nel 1913, quando divenne di proprietà della famiglia Astarita, furono rinvenuti diversi oggetti antichi, tra cui una lucerna di importazione tunisina (ultimi anni del IV secolo e inizio del V secolo d. C.), poi donata da Mario Astarita a Papa Paolo VI (1967); si trova oggi nella collezione Astarita del Museo Gregoriano Etrusco in Vaticano (Paleani 1993). Non si hanno notizie invece degli altri materiali rinvenuti. È da sottolineare che non è stata mai effettuata un’indagine archeologica sull’isolotto. Invece sono state trovate sui fondali prossimi ad esso, diverse vasi ed anfore provenienti in alcuni casi da relitti che non sono stati recuperati. Alcuni video visibili su YouTube fatti dal subacqueo Bruno Schisa diversi anni fa, lo documentano.
Claude Albore Livadie
Bibliografia
MINGAZZINI P., PFISTER F. (1946). Forma Italiae, vol. II, Sansoni, Firenze 1946.
PALEANI M. T. (1993). Le lucerne paleocristiane, Roma 1993.
RADMILLI A.M. (1965). “Notiziario: scoperte e scavi in Italia durante il 1965 – Campania – Penisola Sorrentina”, in Rivista di Scienze Preistoriche, XX, 1965.