Il sito dello Scalandrone, dal nome del luogo nel quale è collocato (nel territorio comunale di Scala), è definito da uno spargimento in superficie di materiali fittili frammentari di epoca protostorica. Occupa un pianoro sub pianeggiante posto a 550 m s.l.m. su un versante montuoso che, dai circa 450 m s.l.m. della Valle Frezzi (bacino idrografico principale di cui lo Scalandrone rappresenta un ramo secondario) sale fino alla cima di Santa Maria dei Monti posta a 1050 m di altezza. La posizione del sito, oltre a garantire l’eccellente controllo visivo di una vasta superficie terrestre e marina, risulta ottimale anche dal punto di vista della viabilità e dei collegamenti montani. Ancora oggi, infatti, l’antica mulattiera che da località Santa Caterina porta a Santa Maria dei Monti, arteria fondamentale per lo spostamento all’interno del comprensorio prima della costruzione delle infrastrutture moderne, costeggia il pianoro occupato dall’insediamento protostorico; dall’altopiano di Santa Maria dei Monti, dipartono poi le vie di alta quota che portano da un lato verso Tramonti e dall’altro lato verso Agerola e Gragnano, laddove si trovano i punti di passaggio più agevoli verso la piana nocerino-sarnese posta a nord; in direzione sud, dal sito si raggiunge il versante amalfitano pienamente costiero.
I materiali ceramici rinvenuti durante ripetute prospezioni di superficie condotte in vari periodi dell’anno permettono una sicura attribuzione all’età del Bronzo, con elementi che consentono di definire come “appenninica” (nome specifico di una cultura caratteristica di tale periodo), sebbene non piena, almeno una fase di frequentazione del luogo; allo stesso momento si data una fase del vicino sito di Polvica di Tramonti. Ben documentati, in riferimento ai materiali “appenninici”, sono i vasi aperti, tra cui un frammento verosimilmente appartenente ad una ciotola a corpo arrotondato, decorata con un motivo realizzato a solcature e incisioni, composto da nastro campito a punteggio fitto e, come si può intuire lungo la frattura, negli spazi di risulta da triangoli e da un elemento angolare sempre campiti a punteggio e altri frammenti con decorazione affine.
Coeva è forse l’olletta con ansa verticale e le olle, molto frammentarie, senza o con cordoni digitati. Altri reperti sono dubitativamente attribuiti a fasi successive, configurando ipoteticamente una frequentazione del sito di lunga durata: in particolare un’ansa verticale con leggero andamento “a tortiglione”, un’ansa a largo nastro verticale tricostolato, cioè con nervature laterali e mediana e due ciotole con profilo arrotondato e anse orizzontali. Molti sono i frammenti attribuibili a contenitori di grandi dimensioni, con diametro tra i 16 cm e più di 100 cm.
Sono stati ritrovati anche alcuni manufatti litici non indicativi dal punto di vista tecno-tipologico, con ogni probabilità da considerare cronologicamente coevi alla ceramica, ottenuti da materie prime estranee al contesto geologico dei Monti Lattari, che consentono di delineare “collegamenti” con aree esterne al comprensorio di riferimento. Tra questi si segnala una scheggia in diaspro, una lama in ossidiana ed una macina in pietra lavica.
Luca Di Bianco, Claude Albore Livadie, Saverio G. Malatesta
Bibliografia
DI BIANCO L., ALBORE LIVADIE C., MALATESTA S. G. (2017) – “Il progetto P.A.S.T. in Coast e l’insediamento protostorico dello Scalandrone di Scala (Costa d’Amalfi- Campania”. In: Territori della Cultura – Rivista on line del Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali di Ravello, n. 27: 14-21.