Punta Campanella è stata descritta di recente come “un vero e proprio museo archeologico territoriale diffuso” (Romano 2017). Con tale nome ci si riferisce alla porzione di territorio posta all’estremità occidentale della penisola sorrentina, nel comune di Massa Lubrense, di fronte all’isola di Capri, a divisione del golfo di Napoli da quello di Salerno.
Testimonianze materiali, documenti storici e fonti orali, sottolineano l’importanza del luogo durante un lunghissimo arco temporale (Albore Livadie 1990). Nei pressi di Nerano, sono state rinvenute tracce della presenza umana risalenti al paleolitico, relative a gruppi di cacciatori-raccoglitori che stanziarono all’interno della Grotta dello Scoglione; labili elementi permettono anche di percepire una frequentazione umana nel corso dei successivi periodi del Neolitico, a cui deve essere riferito il pendaglio a forma di testa d’ascia in pietra verde (rinvenuto presso Termini durante prospezioni superficiali degli anni ‘1960), ed Eneolitico, come fa supporre la ceramica raccolta nella Grotta della Noglie, presso la baia di Ieranto. Ancora oggi lungo tutto il percorso di crinale tra la baia di Ieranto e Termini, a ridosso delle pendici sud-orientali del Monte S. Costanzo, si rinvengono manufatti litici in selce e frammenti di ossidiana.
In epoca successiva il luogo assunse un valore mitico, se si pensa al racconto di Ulisse e delle Sirene (tra altri, Senatore 2014), da correlare senza dubbio all’importanza che rivestiva nell’ambito degli spostamenti marittimi, a cui probabilmente è da riferire anche la sacralità di cui fu rivestito, tanto che in tale area si pensa potesse sorgere un santuario dedicato alle Sirene: per il navigante che doveva doppiare Punta della Campanella e superare le “Bocche di Capri”, il pericolo era in agguato a causa dei venti e delle correnti, sicché la cattiva reputazione ed i sacri rituali legati alla navigazione dell’obbligato e pericoloso passaggio perdureranno lungo tutta l’antichità. Del santuario delle Sirene se ne ignora l’ubicazione. Il dibattito è tuttora aperto, si è ipotizzato che fosse su Li Galli, anche se oggi si propende a scartare l’ipotesi di una sua collocazione sul versante sud della penisola a vantaggio del versante nord, che maggiormente corrisponde all’interpretazione di alcuni passaggi della Geografia di Strabone. Paola Zancani pensava che potesse essere stato eretto un tempio sul Capitello, piccolo promontorio dietro la torre di avvistamento diroccata di Montalto, sulla sella (La Murtella) che chiude ad ovest la Baia di Marina di Cantone. Le ricognizioni fatte dagli studiosi P. Mingazzini e F. Pfister segnalarono il rinvenimento di tegole e di ceramica d’impasto in un contesto interessato da importanti cambiamenti topo-orografici. Sembrerebbe però che i materiali siano da riportare al periodo classico o relativamente tardo (ceramica a vernice nera, ceramica ingubbiata, sigillata, aretina). Non è presente la ceramica greca o di tipo greco che avrebbe potuto avvalorare l’esistenza di un tempietto. E. Greco propone una nuova ubicazione, ad est di Sorrento, tra Sant’Agnello e Marina di Equa, come potrebbero suggerire le fonti antiche (Greco 1992) e sottolinea l’importanza della scoperta dell’edificio alla Trinità di Piano di Sorrento (Albore Livadie 1990, 1992).
Di sicuro, invece, all’estremità del promontorio Ateneo, Punta Campanella appunto, si ergeva il tempio di Athena/Minerva, la cui fondazione mitica è attribuita ad Ulisse (Strabone V, 247). Sulla sua precisa localizzazione si è discusso a lungo (tra altri Greco 1992, D’Agostino 1992) ma ormai sembra essere stata accertata (Russo 2004). Infatti, grazie alla scoperta nel 1985 dell’epigrafe osca di carattere pubblico (prima metà del II sec a. C.) in cui vengono menzionati tre meddices Minervii, se ne conosce la prossimità: dall’approdo di levante si raggiunge con una rampa di scale la torre vicereale, dove verosimilmente era ubicato il santuario di Atena/Minerva. Una nuova proposta di interpretazione relativa a un termine sannita esskazsiúm dell’iscrizione rupestre rinvenuta nei pressi della suddetta torre, è stata di recente avanzata (Triantafillis 2016); finora tale termine era tradotto come ‘approdo’ o, in modo più articolato, ‘approdo scala’ o soltanto ‘scala’ (Russo 1990, Russo 1998 ed altri), anche in ragione del fatto che l’epigrafe risulta incisa sulla roccia nei pressi della scala. La studiosa pensa che il lessema esskazsiúm andrebbe connesso con la radice indoeuropea *(s)kend-, cioè “luminoso, brillare, illuminare”, cioè candeo in latino: “brillo, splendo, rifulgo” e suggerisce la presenza di un faro sulla Punta della Campanella. Messe da parte altre proposte, si cita quella di M. Russo, secondo il quale i «resti del faro [andrebbero] ricercati nell’edificio a pianta quadrata le cui fondazioni (non riportate sulla pianta di Mingazzini- Pfister 1946) si vedono ancora al di sopra della quinta terrazza, in un punto eminente e con visibilità da sud/est a nord/ovest» (Russo 1998). Purtroppo sulla punta è stata edificata una grande villa romana, forse di epoca imperiale, su cinque terrazzamenti che fronteggiava la villa di Tiberio a Capri. Le costruzioni moderne (come la torre angioina del 1334, sostituita poi da una torre vicereale nel 1566 per volere di Pedro Afán de Ribera Duca di Alcalà), il faro vecchio, la casa del guardiano, le “batterie murattiane” e il nuovo faro automatico, non hanno lasciato finora intravedere né i resti struttivi del tempio di Atena, né quelli di un eventuale faro di età sannitica. Secondo Mingazzini-Pfister (1946), “il tempio si ergeva nel sito occupato oggi dalla Torre Saracena (cioè torre vicereale), la cui pianta rettangolare potrebbe suggerire che la torre sia stata costruita sulle fondamenta del tempio”. Anche per F. Senatore, G. Adinolfi (2016) la torre vicereale potrebbe essere il sito del santuario di Atena. Per P. G. Guzzo e M. Russo la sede del santuario sarebbe da localizzarsi piuttosto nell’area delle batterie murattiane in corrispondenza dell’attuale faro (Guzzo 1992; Russo vari lavori).
A tutt’oggi la nostra conoscenza dell’Ateneo si concentra solo sui materiali architettonici, ceramici e votivi. C. Rescigno (2016) ha riconosciuto almeno tre fasi cronologiche di intervento sulle coperture di uno o più edifici del santuario (dalla metà circa del VI sec. a.C. al IV sec. a.C.). La ceramica presente sul sito in superficie o dai piccoli sondaggi (Jacobelli 1994) eseguiti in diverse occasioni documenta una frequentazione almeno dalla metà del VI sec. a. C. fino alla prima metà del II sec. a.C. senza soluzione di continuità (Morel 1982, Morel 1984, Russo 1990, Russo 1990b, Russo 1992, Rescigno 2010). Anche le monete di bronzo romane non sono più recenti del II sec. a. C. (Cantilena 2010). Un unico frammento sporadico di un piccolo vaso euboico tardo geometrico potrebbe fare risalire la frequentazione del sito (Russo 1998, Albore Livadie 2022).
Claude Albore Livadie
Bibliografia
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